Quando i due uomini si separarono, e uno iniziò il cammino di ritorno verso il fiume, e l’altro verso la selva profonda, sapevano che cercando l’orizzonte avevano trovato qualcosa di più importante: la certezza dell’esistenza dell’altro, dell’altro uguale nella forma, ma differente nelle abitudini, e ciascuno si vide più ricco di quando aveva iniziato il cammino, perché il viaggio aveva dato loro le conoscenze che mai avrebbero avuto i vecchi saggi dell’immobilità.

Luis Sepulveda

martedì 23 ottobre 2007

PACE: obiettivo di tutti


Ercolano. Lo “spirito di Assisi” passa anche per Ercolano. Ieri, verso le 18, Villa Campolieto ha ospitato una delle tante tavole rotonde organizzate in questi giorni dalla comunità di Sant’Egidio in occasione dell’incontro fra religioni “Per un mondo senza violenze”.
Dopo aver visitato le bellezze della nostra città, lo svizzero, Paul Grossrieder, già Direttore generale del Comitato Internazionale della Croce Rossa, il finlandese Vitto Houtari, vescovo luterano e l’arcivescovo ortodosso del Patriarcato di Alessandria, Seraphim Kykkotis, cominciano l’incontro davanti ad un numerosissimo pubblico.
Ad aprire i lavori, dopo un breve omaggio della corale polifonica “Città di Ercolano”, il primo cittadino della città degli scavi, Nino Daniele : “Siamo qui per sostenere la pace nel nome di Dio, la violenza peggiora il mondo, di ciò dobbiamo convincercene tutti. Solo il dialogo, il dialogo fra religioni, fra laici e credenti… è ciò che rende forti, ci protegge e rende possibile il progresso umano. Tutti assieme abbiamo una grande responsabilità per un mondo di pace, giustizia e libertà, ed è per questo che siamo orgogliosi che questo dialogo passi per le vie, per i monumenti e per gli animi dei nostri concittadini.”
Nessuna guerra è santa, chi usa il nome di qualsiasi dio per le guerre non fa altro che svilire il sentimento religioso. Il titolo di questa tavola rotonda è “I cristiani e la pace”, ma in concreto cosa hanno fatto e cosa fanno i cristiani, e non il cristianesimo, per la pace? A questo domanda ha risposto, attraverso la sua personale esperienza, tra un conflitto ed un altro, Paul Grossrieder, definito dagli ascoltatori il “Gino Strada internazionale”. Ha parlato da testimone diretto, ma il suo esempio non è molto incoraggiante. Ci ha raccontato della sua esperienza in India, a Giacarta, e nel Rwanda, dove non ha visto comportamenti da cristiani. Basti pensare che la maggior parte degli Hutu e Tutsi che si uccidevano fra loro erano cristiani, erano stati evangelizzati. “ Erano persone normali come noi, che in altri momenti non avrebbero mai ucciso…” così li definisce Grossrieder. Era la situazione tragica, dove tutto spingeva alla violenza e dimenticavano la speranza della pace. Basta pensare che alcuni ecclesiastici hutu e tutsi facevano ricreazione separatamente, per non incontrarsi!
“Non basta essere cristiani per essere artigiani pace! – commenta amaramente il presidente del comitato internazionale della Croce Rossa – c’è bisogno di volontà e coraggio: essere artigiani di pace e volerlo essere, anche nelle situazioni più tragiche, anche quando ci si trova dalla parte più forte.”
I costruttori di pace sono in primo luogo uomini, prima di partecipare ad una religione, ad una etnia, ad uno schieramento politico, sono innanzitutto partecipi della stessa umanità!
“ Il cristianesimo è di per sé universale, ma purtroppo si finisce per curare gli interessi di pochi. – commenta amaramente l’arcivescovo luterano – le religioni devono essere strumento per trovare la pace. Il comune nemico è un mondo senza dio. Dio ci incoraggia e ci dirige verso la pace perché questa è un suo dono.”
“ Quest’incontro è una possibilità di guardare al futuro”, con queste parola ha inizio il pungente discorso di sua eminenza Seraphim Kykkotis. “ le religioni hanno lo stesso oggetto, non possono dividere. Ieri al San Carlo, i musulmani parlavano della pace, come priorità del Corano, come gli ebrei per il Torah”.
Allora cosa c’è dietro alle religioni che non permette la pace? In Iraq si combattono musulmani e musulmani, palestinesi ed israeliani credono nella stessa pace. Quali sono le motivazioni che ostacolano la pace? Semplice, è la politica. “ Il mondo non trova la pace – continua l’arcivescovo ortodosso - a causa degli interessi politici. Una via è il perdono e la preghiera, ma gli interessi sono tanti. Gli Americani spendono troppi soldi per le armi, per la guerra, trascurando la ricerca. Ogni tre secondo muore un bambino!
Senza giustizia non si può pensare a costruire la pace.”
Presenti in sala, anche monsignor Di Donna, ben presto vescovo ausiliare dell’arcidiocesi di Napoli : “ Tre ore di presentazione al San Carlo, milioni di persone, tanti discorsi per affermare una cosa chiara per tutti: nel nome di Dio non si uccide! Qualcosa non quadra. Non esistono motivi religiosi per giustificare le guerre, le religioni fanno solo da collante. La profezia è smascherare la grande menzogna, così come ha sottolineato Giovanni Paolo II. Non esistono scontri di cultura e religioni. Un esempio è la guerra in Iraq, qual è la motivazione? Il petrolio! I motivi sono gli interessi economici e nazionalistici, la religione è strumentalizzata. Il rischio è che le religioni monoteistiche sono accusate di essere la causa di tutti i mali, con il conseguente pericolo di dimenticare dio.”
In conclusione, l’assenza di comunicazione impedisce la pace. Dialogare serve per capire l’altro, quando ciò si interrompe, viene meno la pace.

mercoledì 17 ottobre 2007

Per un mondo senza violenza, religioni e culture in dialogo


Ercolano. Dopo Roma, Varsavia, Bari, Malta, Lisbona, Barcellona, Palermo, Aechen, Lione, Milano, dal 21 al 23 ottobre, anche Napoli, “città significativa per la sua storia e la sua collocazione nel cuore del Mediterraneo, crocevia di differenti tradizioni culturali e religiose”, sarà capitale della PACE.
In un momento in cui le religioni sembrano issate a vessillo delle differenze culturali e, di conseguenza, di scontri, proprio dal mondo della religione arriva un messaggio alla speranza e di dialogo, “Per un mondo senza violenza, religioni e culture in dialogo”, questo il titolo della manifestazione.
Per tre giorni la città partenopea ospiterà tutte le religioni del mondo, insieme per la pace.
Purtroppo i mass media sembrano portare in secondo piano questo grande evento, puntando più sulla visita di domenica di papa Benedetto XVI. Pur essendo onorati della visita del nostro pontefice, che in qualità di capo della Chiesa cattolica incontrerà gli esponenti delle altre religioni, ciò che deve riempirci di gioia è il grande passo in avanti verso un mondo di rispetto: i fedeli dei più disparati credi esistenti al mondo, cammineranno abbracciati, verso un unico obiettivo: il rispetto e la pace.
Questa importante manifestazione toccherà il culmine e la sua conclusione, martedì, alle 17,30 quando si pregherà tutti assieme, non nello stesso luogo, ma nello stesso momento e secondo le proprie tradizioni. In questa occasione sarà, però, possibile assistere alle celebrazioni ai vari riti religiosi. Dopo la preghiera le diverse comunità confluiranno tutte in uno stesso corteo per la processione per la pace e la cerimonia finale in piazza del Plebiscito.
Varie tavole rotonde sono in programma durante i tre giorni, una delle quali avrà luogo anche ad Ercolano nella Villa Campolieto.
L’incontro sarà sul tema “I cristiani e la pace”, prevista la presenza del sindaco Nino Daniele, mentre i relatori saranno:
- Christophe D’Aloisio, belga, presidente di Syndesmos, fraternità internazionale di 126 organismi giovanili ortodossi;
- Paul Grossrieder, svizzero, direttore generale del Comitato internazionale della Croce Rossa;
- Vitto Huotari, vescovo della Chiesa luterana di Mikkaili, Finlandia;
- Sua Eminenza Seraphim Kykkotis, arcivescovo metropolita Di Johannesburg e Potoria, Sud Africa, del Patriarcato greco ortodosso di Alessandria e Africa Tutta.

Proprio perché tutti gli altri giornali e televisioni danno poco rilievo a questa manifestazione, don Giuseppe, parroco di Santa Caterina, assieme alla Comunità Sant’Egidio, lunedì 15 ottobre nelle sale della basilica di Pugliano, ha tenuto un incontro, che potremmo intitolare lo “Spirito di Assisi” per spiegare agli interessati, lo “spirito” di questo evento, al quale erano presenti tra gli altri, il preside Iacomino e il prof. Accardo
Dopo aver ripercorso, con alcune slides i vari avvicinamenti religiosi, padre Giuseppe ricorda quanto proprio in questo momento sia necessario un “nuovo umanesimo per un sogno di pace”.
Dopo l’11 settembre è tutto più difficile, si cerca nell’altro, un colpevole, si è portati ad avere paura del diverso da sé. Il dialogo è una necessità, una domanda, ma anche una risposta a tutto ciò, e viene proprio dalle religioni. Come ricorda Alessandro, della comunità Sant’Egidio “il dialogo non lascia indifesi, nulla è perduto in esso” .
Il confronto con gli altri non annulla le differenze, ma ne approfondisce l’identità.

Per maggiori informazioni visitate il sito www.santegidio.org

domenica 23 settembre 2007

Vivere sotto occupazione



Immagina di vivere sotto occupazione:immagina di dover andare a scuola alle otto, di dover svegliarti alle quattro, perché già sai che ti faranno questioni ai cinque check points che trovi per strada; immagina di dover andare a fare la spesa e di non sapere se ci riuscirai né se tornerai; immagina di voler uscire una sera con gli amici, rischiando, però, di rimanere intrappolato tra un checkpoint e l’altro, perché alle sette di sera chiudono e nessuno può più passare fino alle cinque di mattina; immagina che la tua città è racchiusa in un muro e che i tuoi parenti si sono trovati oltre il muro, pensi di riuscire a vederli? No, non te lo permettono. Immagina che ci sia una parvenza di democrazia, con le elezioni, ma, sfortunatamente, a salire al potere è una fazione poco simpatica ai grandi del mondo. Che succede? Che ti tagliano gli aiuti e che rischi di non ricevere lo stipendio per mesi.
Immagina. Noi, possiamo solo immaginare, ma c’è chi l’occupazione la vive. I ragazzi, gli uomini, le donne, i bambini in Palestina vivono ogni giorno questa situazione. A raccontarcela sono state due professoresse Massima Al-Shawa e Marlen Muallem, e il preside Micheal Abu-Ghazaleh, della scuola di Ramallah “School of Hope” (non a caso), ospitati all’Is.Sup.A.Tilgher.
" È molto importante per noi – dichiarano i professori palestinesi – che i nostri ragazzi vengano in contatto, attraverso il computer, con i ragazzi italiani. In questo modo possono capire la vera democrazia, possono capire che un’altra strada esiste>".
Dopo aver parlato ai professori e agli alunni del Tilgher, i nostri ospiti si sono recati in Regione dove a riceverli sono stati Luisa Bossa, presidente VI commissione consiliare permanente, e l’assessore regionale al lavoro, istruzione e formazione,Corrado Gabriele, molto sensibili a questo tema.
Un’altra via esiste per tutti. L’informazione serve a questo, a non rimanere indifferenti davanti alle ingiustizie che accadono nel mondo.


Autore: RacheleT

venerdì 14 settembre 2007

Il dialogo


Non esiste un unico punto di vista, non esistono solo le tue ragioni, il tuo modo di pensare, di vivere, di mangiare non è il migliore che esista. La verità è per forza ciò che pensi tu, o, meglio, potrebbe non essere una sola. La verità è la diversità, è cambiare opinione, è il dialogo:



" L'esperienza di verità si dà solo nel dialogo, in quella dialettica di domanda e risposta che alimenta il movimento circolare della comprensione " ( Gadamer)

venerdì 7 settembre 2007

Divertimento e sensibilizzazione

Torre del Greco. "Aprite il vostro giornale ogni giorno della settimana e troverete la notizia che da qualche parte del mondoqualcuno viene imprigionato, torturato o ucciso perché le sue opinioni o la sua religione sono inaccettabili per ilgoverno. […] Il lettore del giornale sente un nauseante senso di impotenza. Ma se questi sentimenti di disgustoovunque nel mondo potessero essere uniti in un’azione comune qualcosa di efficace potrebbe essere fatto."
Era il 1961, con queste parole Peter Benenson, avvocato inglese, dà vita ad Amnesty International, organizzazione non governativa che si batte affinché i diritti sanciti dalla Dichiarazione universale dei diritti umani e dagli altri documenti sulla protezione internazionale, siano rispettati e tutelati.
Nel ’61 ebbe inizio la campagna per l’amnistia dei prigionieri di coscienza, da allora numerose campagne hanno visto la luce: contro la pena di morte, contro la violenza sulle donne, campagne a favore dei bambini cosiddetti “invisibili”…
Oggi più di due milioni sono le persone da che hanno deciso di associarsi a questa organizzazione internazionale. Dal 1975 l’Italia conta oltre 80 000 soci.
Anche i comuni vesuviani hanno un proprio gruppo, 232, questo il suo nome, piccolo, ma con grandi ideali, che ha sede a Torre del Greco in via Martiri d’Africa, all’interno del quale, martedì scorso hanno avuto luogo le nuove nomine.
Dopo due anni, lascia la carica di responsabile Stefania Esposito, alla quale subentra Dario del Giudice. Diventa vice responsabile Gerardo Ancora, che subentra a Diego Cordua, mentre si riconferma tesoriera del gruppo Mara Cordua. La grande qualità di questo gruppo è la fantasia. Già, perché anche per avvicinare le persone alle grandi problematiche della terra, bisogna stare al passo con i tempi. È finita l’era delle campagne di sensibilizzazione dal pulpito di una chiesa. E questo i nostri amici di Torre del Greco lo sanno bene: sabato 8 settembre sarà dedicato alla sensibilizzazione e alla raccolta fondi, in che modo? Con una festa sulla spiaggia, Lido Gelsomino, 5 euro l’ingresso con una consumazione gratis. Ci sarà la musica, cibo, bevande e tutti i gruppi Amnesty della regione. Il divertimento è assicurato, senza però dimenticare che in qualche paese, o meglio, in troppi paesi, molti uomini, donne e bambini vedono violati i loro diritti fondamentali.

Per informazioni:Gruppo Italia 232 - Comuni Vesuvianivia Martiri d'Africa, 3080059 Torre del Greco (NA)tel. 3400693028e-mail: gr232@amnesty.it

Autore: RacheleT

domenica 2 settembre 2007

"Mi sembra che il sogno sia una difesa contro la regolarità e abitudinarietà della vita, un libero svago della fantasia impastoiata, in cui essa scompiglia tutte le immagini della vita e interrompe la costante serietà degli adulti con un lieto gioco da bimbi. Senza i sogni certamente invecchieremmo più presto, e dunque si può riguardare il sogno, se non proprio come venuto direttamente dall'alto, almeno un dono divino, un fedele compagno nel pellegrinaggio alla santa tomba" ( tratto da "Enrico di ofterdingen" di Novalis).


E allora che male c'è a sognare?

Dedicato alla persona più importante e agli amici che mi hanno accompagnato questa estate.

sabato 28 luglio 2007


"Non coerceri maximo, contineri minimo divinum est"
Non essere limitato da ciò che è più grande, essere contenuto da ciò che è minimo, questo è divino.
(da un epitaffio sulla tomba di Ignazio Loyla, ripreso in seguito da Holderlin)

mercoledì 18 luglio 2007

Bambini invisibili

Ercolano. Sono stati arrestati dai carabinieri di Portici, due coniugi rom, rumeni domiciliati nel campo nomadi di Ercolano, che ben presto sarà sfollato. I due coniugi Asan Tudorica, e Ioan Alexandrina, entrambi 43enni, costringevano i loro figli minori, un maschietto e una femminuccia, di 14 e 11 anni, a mendicare tra i passanti e negli esercizi pubblici di Portici. I due bambini erano anche costretti a rovistare fra i rifiuti nei cassonetti.
Come se tutto ciò non bastasse il padre, per attirare l’attenzione dei passanti fingeva l’invalidità, facendosi spingere dal bambino su una sedia a rotelle.
Durante l’operazione i carabinieri hanno sequestrato 600 euro ritenuti il guadagno dell’attività e la sedia a rotelle.
I due arrestati si trovano ora a Poggioreale e a Pozzuoli, mentre i minorenni sono stati affidati ai servizi sociali di Portici.
Tutto ciò ci porta a riflettere su quanto sia complicata la questione dei rom. Sfrattarli dal campo di Ercolano, è la soluzione più facile, ma non è detto che sia la più giusta. così facendo ce ne laviamo solo le mani, sperando che qualcun altro se ne occupi. Nel frattempo però che “passiamo la palla” ad altri, quei bambini saranno sempre sfruttati e costretti all’accattonaggio, mentre dovrebbero solo pensare a giocare ed andare a scuola. E allora vogliamo sempre lavarcene le mani?

Autore: RacheleT

venerdì 13 luglio 2007

...SOGNARE...

"E sognare è molto comodo, a patto di non essere obbligati a fare ciò che abbiamo progettato. in tal modo non corriamo rischi, non viviamo frustrazioni, momenti difficili; poi, una volta invecchiati potremo sempre incolpare gli altri, preferibilmente i genitori, o i mariti o i figli, per non averci fatto realizzare ciò che desideravamo" ( Paulo Celho in "Undici Minuti")

Autore del quadro: Michele Sannino

sabato 7 luglio 2007

Hutu e Tutsi: Fratelli o nemici?

Partiamo dal film Hotel Rwanda.
Nell’aprile del 1994 i giornali italiani, ma anche gli stranieri, davano ben scarso rilievo a quello che stava succedendo in Ruanda, piccolo Stato dell’Africa Centrale, che nel giro di neppure tre mesi veniva spazzato da una delle più efferate carneficine della storia umana, consumata nella totale indifferenza della comunità internazionale, che lo aveva abbandonato a se stesso all’indomani dell’assassinio del suo presidente, facendolo precipitare in un incubo. È questo il nodo centrale del film che rievoca un episodio archiviato e dimenticato dalla coscienza collettiva. Una pagina di storia vergognosamente taciuta e rimossa perché ad esserne interessato è stato un piccolo Paese privo di ricchezze e perciò irrilevante per chi detiene le sorti politiche ed economiche mondiali. Riportata alla luce attraverso la vicenda di un uomo che in mezzo al caos e all’inferno nel quale il suo Paese era precipitato, riuscì a non perdere la testa e a mettere in salvo la sua famiglia e più di un migliaio di connazionali.
Il cinema serve anche a questo, a sottrarre all’anonimato persone normali che in situazioni eccezionali si rivelano degli eroi.
E il personaggio di Paul Rusesabagina lo è, combattendo, o meglio, cercando di sanare quella spaccatura del paese, il suo paese, che l’odio aveva provocato.
Il film rende chiaramente l’idea di questa frattura: da un lato la martellante propaganda radiofonica di istigazione all’odio costruita sulla calunnia, sulla delazione, sulla diffidenza nei confronti del vicino di casa, del collega di lavoro, del parente; dall’altro la vita quotidiana di quegli Hutu e Tutsi che invece si frequentavano, lavoravano fianco a fianco, abitavano vicini, erano amici, si innamoravano, si sposavano, facevano figli assieme.
È successo in Africa, ma è successo e succede altrove, secondo un doloroso copione che la storia ha messo troppe volte in scena. Sono sempre gli stessi pretesti ad accendere i conflitti: un diverso credo religioso, la contesa di un confine territoriale, la rivendicazione di una superiorità etnica e razziale attraverso un differente colore della pelle o addirittura dei tratti somatici.

Gli Hutu e i Tutsi sono vissuti sempre in armonia, agricoltori i primi, aristocratici i secondi, agli uni spettava un ruolo di governo, agli altri prerogative rituali.
Quando un giorno, arrivarono i colonizzatori, prima tedeschi e poi belgi, a spezzare questo equilibrio. Questi , infatti, per rafforzare il loro dominio, applicarono il principio del “ divide et impera”. I tedeschi scelsero allora i Tutsi come interlocutori( i loro corpi slanciati e la pelle più chiara li rendeva agli occhi degli Europei, più intelligenti, rispetto agli Hutu dai tratti marcatamente negroidi). Spettavano, così, a loro tutti i privilegi, non solo, ma furono anche incoraggiati a sfruttare gli Hutu. Quest’ultimi furono, invece, privati delle loro funzioni rituali.
Era così nata quella frattura insanabile nella società hutu-tutsi che avrebbe portato al massacro.
Per imporre tutto ciò, i colonizzatori crearono delle carte di identità nelle quali ogni individuo è classificato come Hutu o Tutsi, a seconda del numero di bovini che possedeva, in assenza di basi su cui fondare la distinzione razziale, visto che la distinzione fisica non era sufficiente.
Gli anni passano, i Tedeschi, sconfitti nella prima guerra mondiale, sono costretti a cedere la colonia ai Belgi. Dalla padella alla brace. Le cose non cambiarono per la popolazione del Ruanda, anzi, i nuovi colonizzatori cercarono di mantenere e accentuare quella divisione.
Il fremito di libertà degli anni ’50 invase l’Africa e anche questa terra.
Anche i “servizievoli” Tutsi, invece di rimanere “fedeli” al potere, si organizzano per ottenere l’indipendenza. Vedendosi così traditi, i colonizzatori puntano sugli Hutu, meno organizzati e istruiti, aizzandoli contro i Tutsi.
L’indipendenza arriva nel 1962, la pace è ancora lontana. I massacri continuano, molti Tutsi sono costretti a lasciare il paese.
Nel 1973 con un colpo di stato, il capo dell’esercito Habyarimana prende il potere.
Egli si comporta da vero e proprio dittatore: si circonda di ministri e militari provenienti dalla sua regione e vieta ogni tipo di opposizione, l’unico partito consentito è il Movimento Rivoluzionario Nazionale costituito su basi etniche e sociali.
In questo clima si rafforza la resistenza tutsi, alla quale si aggiungono gruppi hutu insofferenti al regime.
L’azione sempre più forte dei gruppi di opposizione clandestina, la minaccia del Fronte Patriottico Ruandese a maggioranza tutsi che operava nell’Uganda e la costante pressione di alcuni Paesi occidentali, hanno portato Habyarimana a cedere ad un accordo di pace con l’opposizione, che avrebbe dovuto portare alla democratizzazione del Paese.
Il 6 aprile 1994, all’aeroporto di Kigali, un aereo è abbattuto.
È l’aereo che trasporta Habyarimana, il presidente del Burundi, Ntaryanira, ed altri esponenti del governo.
Non si sa chi sia stato il mandante. Probabilmente furono gli stessi alleati di Habyarimana a volerlo morto. Erano in gioco troppi privilegi, meglio un conflitto con massacri e pulizia etnica.
Non erano gli unici interessi: il Ruanda faceva comodo al Belgio e alla Francia. Posizione strategica fra l’Africa francese e quella inglese, e inoltre confina con lo Zaire, il cui sottosuolo faceva gola a molti “grandi” della terra.
Alla morte del presidente, l’esercito del vecchio partito unico inizia l’eliminazione fisica dell’opposizione hutu e dell’inera popolazione tutsi. Sono massacrate circa un milione di persone, ed altre ancora costrette ad abbandonare la propria terra.
Tutto ciò ha avuto luogo nella più totale indifferenza del resto del mondo.
È significativo che Jack, il reporter inglese del film Hotel Rwanda, di fronte alle immagini del massacro commenti: " Esse sono destinate ad essere consumate durante l’ora di cena da milioni di telespettatori distratti ed anestetizzati, che magari neppure sanno dov’è il Ruanda ".
Anche Paul Rusesabagine in una dichiarazione riportata dal “Corriere della Sera” nel marzo 2005, afferma: " Tutto il mondo allora ci ha abbandonati colpevolmente, forse perché in Ruanda non c’è petrolio. La comunità internazionale non ha ascoltato i nostri appelli: duemila soldati americani dopo poco mollarono la presa lasciando la gente indifferente ad un eccidio furibondo, il più veloce dell’era moderna, che i media quasi non fecero in tempo a registrare, e che in 100 giorni uccise un milione di persone"
Penso che queste parole si commentino da sole, vorrei solo ricordare che l’ONU in un rapporto, ha volutamente evitato di definire questa strage “genocidio”, perché ciò avrebbe dovuto significare, come dire, una maggiore presenza di quei “forti” in Ruanda.
Vorrei concludere questo discorso con altre parole di Rusesebagina, pronunciate durante una conferenza stampa in occasione dell’uscita del film:"Attualmente in Ruanda ci sono al potere dei vincitori che hanno preso il posto degli sconfitti: non è la vera pace, è intimidazione degli uni sugli altri. La riconciliazione ci sarà solo se ci sediamo tutti attorno ad un tavolo negoziale per parlare francamente di quanto è successo".

Autore: RacheleT.

martedì 3 luglio 2007

Il falso Doriforo

Il prof. Franciosi, un archeologo di appena 41 anni, rappresenta l’ardire dello studio, la passione per la cultura e, possiamo dirlo, l’orgoglio di Ercolano.
Il professore ha completamente capovolto un’ opinione che resisteva dal 1863!
Ecco ciò che spiega nel suo libro: dunque, si sa che dal 212 a.C., data della presa di Siracusa, e ancor di più dalla distruzione di Corinto e dall’acquisizione della Grecia in provincia romana, si registra un grande afflusso di opere greche a Roma. I ricchi signori romani decoravano le proprie residenze con statue fatte arrivare dalla Grecia, chi non poteva permettersele, richiedeva delle copie. Ecco allora, che nel II sec. a.C. sorgono ad Atene botteghe di copisti in marmo. Le copie delle statue non erano sempre fedeli, a volte ingrandivano, altre volte rimpicciolivano l’originale, oppure addirittura aggiungevano alle copie delle varianti inesistenti nell’originale.
Tutto sommato, però, le copie sono importanti per ricostruire lo stile dell’opera originale, (soprattutto se si pensa che le statue originali in bronzo furono fuse per coniare monete o per foggiare armi durante le crociate).
Nel XVIII sec d.C. Winkelmann cominciò ad applicare il metodo filologico all’archeologia, a studiare, cioè, oltre alle opere originali, anche descrizioni, fonti scritte.
Questo metodo portò Karl Friederichs, nel 1863, a riconoscere nella statua nella foto una copia dell’originale in bronzo del Doriforo di Policleto, proveniente da Ercolano, in realtà poi si è scoperto, provenire da Pompei. Questa statua è stata per tutti un Doriforo di Policleto, fino agli studi del nostro prof. Franciosi: "Fin da quando ero all’università, più guardavo questa statua, più mi convincevo che c’era qualcosa che non andava ". Infatti tutti pensano che la statua regga nella mano sinistra una lancia, quindi è mancina, la lancia stona con la figura, contrasta la razionalità dell’opera, inoltre sembra assurdo che Policleto avesse realizzato una statua con una lancia che sporgesse ad altezza uomo.
Se osserviamo bene lo schema generale della statua è molto simile a quello dei bronzi di Riace ( ad esempio il chiasmo tra la tensione e distensione di braccia e gambe ). I bronzi di Riace, però, avevano uno scudo. Il professore ha osservato la mano sinistra del Doriforo ( o almeno della statua comunemente ritenuta tale ): l’indice e il mignolo sono avanzati, questo significa che la mano stava mantenendo qualcosa di arcuato, inoltre sul braccio sinistro della copia di Napoli sono stati ritrovati segni di ossidazione, che corrisponderebbero al bracciale dello scudo. Se si osserva bene il braccio destro, si scopre che questo non è poi così rilassato. A ben guardare anche la posizione della mano, si nota che questa è chiusa in modo da formare uno spazio quadrangolare, dove può solo entrarci una spada! Quindi questa statua ha una spada e uno scudo e non può coincidere con un Doriforo, che proprio per il nome è una statua che porta la lancia. Il professore Franciosi ha dimostrato, distruggendo una credenza che durava nei secoli, attraverso altri studi che il falso Doriforo di Napoli è in realtà un Teseo, probabilmente di Policleto.
Ma, allora, quale è il vero Doriforo? Plinio nelle Naturalis Historia scrive che il Doriforo è “virilmente fanciullo”, e secondo il professore coincide con l’ Efebo romano che si trova al British Museum di Londra. Il prof. Franciosi ha quindi distrutto due credenze: il Doriforo di Napoli è in realtà un Teseo di Policleto e l’Eufebo di Londra è il Doriforo di Policleto!

Autore: Rachele T.

venerdì 22 giugno 2007

Addio rom

Ercolano. Ormai tutto è deciso e non si torna indietro: hanno 45 giorni per abbandonare il campo nomadi di via Caprile Panoramica. In pochi minuti venerdì è stata decisa la sorte di un’intera comunità rom, circa 200 persone, che da anni vive in un terreno privato.
A convocare la riunione è stato il presidente del Consiglio comunale , Pasquale Simeone, che ha incontrato i capogruppo e la presidente dell’ottava commissione, Leonarda Caso. A farsi portavoce dei rom è stato Marco Nieli, presidente dell’Opera Nomadi di Napoli, ma, a quanto pare, non è servito a nulla.
«I senza fissa dimora - dice Simeone - non possono più stare qui. Siamo in una zona rossa: è un fatto paradossale. Ecco perché stiamo mettendo in pratica iniziative volte al loro allontanamento, in maniera democratica, civile e non forzata». Sono stati rifiutati, quindi i 750 mila euro offerti dalla Regione per migliorare le condizioni di questo campo nomadi. No grazie, meglio cacciarli via, rovinano il panorama! Così con una semplice assemblea si mandano via 200 rom, o zingari, come preferite, ma comunque persone. Nessuno si è chiesto che fine faranno quei bambini costretti all’elemosina, né dove andranno adesso né come si trasferiranno. Non importa, purché se ne vadano.

Autore: Rachele T.

mercoledì 6 giugno 2007

WATER AND PEACE


Padre Alex Zanotelli, la voce di chi non ha voce.
Come tutti noi sappiamo, padre Zanotelli ha combattuto molte battaglie per i diritti umani, come quella riguardante la prostituzione e la distribuzione delle terre in Korogocho. Attualmente si occupa della problematica dei rifiuti e dei conflitti legati alla gestione delle risorse idriche. Sempre di più pace e acqua sono collegate in uno stretto rapporto. L’acqua è in mano ai ricchi del mondo, e si sta avviando a diventare il petrolio di domani. Come oggi si combattono guerre per l’oro nero, ben presto l’acqua diventerà oggetto di guerra, basti pensare che molte sono le multinazionali legate all’acqua, come ad esempio la Nestelè, Danone, Coca-cola. L’acqua è un bene che va tutelato, l’Italia dopo gli USA, è il Paese che consuma più acqua al giorno (circa 200 l). Padre Zanotelli ricorda soprattutto ai giovani che per realizzare un litro di coca-cola ne vengono utilizzati nove di acqua. " Se oggi muoiono –continua padre Alex – 100 000 persone per l’acqua, domani ne morranno 100 000 000!". Tre sono i punti su cui insiste:
1) l’acqua è fondamental human right, ovvero un fondamentale diritto umano;
2) l’acqua è un bene pubblico e non privato;
3) l’acqua non è una S.P.A
" Abbiamo il dovere di fare qualcosa- afferma il padre comboniano – soprattutto i giovani, che non sono il futuro, ma l’unico presente possibile."

Autore: Rachele T.

Dove manderesti tuo figlio?

Chissà perché quando si parla della Giordania si pensa subito al burka, ai rapimenti, al terrorismo… vabbè, se si parla dell’Irlanda è ovvio che si pensa al verde, al fish and chips, all’Inglese….
A ciò si aggiunga che la Giordania è incivile, beh, dove manderesti tuo figlio?
Certo che se civile significa non conoscere la signora del piano di sotto, fare la fila al supermercato e non scambiarsi un sorriso con la cassiera, o altre cose del gemere, e allora è poco dire che i Giordani sono incivili!

Ritornando all’Irlanda: Corrymeela è stata veramente un’oasi di pace, abbiamo capito che ci si può divertire anche con poco ( io già lo avevo capito in quell’incivile stanza di Petra!)
Alla fine dei 5 giorni quel bel fusto, e per altro civile, di David, ci “ha fatto un bel pacco”. Eh … cose che capitano nella civiltà, mica come ad Amman, dove non ho “cacciato” nemmeno un centesimo.
A casa di Rand se ti azzardavi a togliere una forchetta da tavola, erano capaci di legarti e imbavagliarti alla sedia; a Corrymeela non abbiamo avuto di questi problemi: mattina, mezzogiorno e sera avevamo un bel mucchio di piatti e pentole da lavare. Quando ha cucinato il preside e quel mucchio era raddoppiato, avevamo trovato la soluzione, bastava lanciarseli addosso durante i litigi, ovviamente, sempre da ottimi civili in un’oasi di pace!
In Giordania abbiamo dormito nel deserto, abbiamo ballato, cantato e scherzato davanti ad un falò, con quel cielo tutto brillantinato di stelle.
Anche a Ballycastle abbiamo partecipato ad un bonfire, ma il cielo non si riusciva a vedere, era coperto da un fumo nero, nero dovuto alle ruote delle auto che bruciavano. L’apice della festa si è avuto quando la bandiera della Repubblica irlandese, posta alla sommità del bonfire, si è carbonizzata. Qui nessuno ci ha invitato a ballare, qualche bambino più vivace canticchiava <<>>, immagino per la civile capocciata a Materazzi. Nessuno ci ha rivolto la parola. Jane e David ci avevano detto che qualcuno avrebbe potuto chiederci <<>> Beh, gli avrei risposto ciao sono Rachele, ho diciotto anni, sono italiana, sto qui per un progetto alla pace, se proprio lo vuoi sapere sono cristiana cattolica per tradizione, ma credo che esista un unico dio, che si fa chiamare in modi diversi, che insegna la pace e il perdono. Questa però non era la risposta esatta, potevamo solo rispondere <<>>.
E allora, dove manderesti tuo figlio?
Nel Wadi Rum avrei voluto che quel cielo stellato non avesse mai ceduto il posto al sole, nonostante il mio mal di pancia, eravamo tutti lì, Italiani e Giordani, cristiani, atei e musulmani, maschi e femmine, avvolti nelle nostre coperte a ridere e scherzare (sebbene tutto questo era intervallato da qualche corsettina in bagno).
Al bonfire irlandese non vedevo l’ora di tornare nelle nostre stanze, non volevo che quelle immagini si imprimessero nella mia mente. Anche qui provavo un senso di immensità, ma era immensa tristezza, perché a festeggiare non erano solo poveri vecchietti che ricordavano la loro gioventù, ma anche diciottenni come me, famiglie e soprattutto bambini. Ma come cambieranno le cose se i bambini si divertono a strappare e bruciare una bandiera?
Dove manderesti tuo figlio?
Il giorno dopo siamo andati a Belfast, alla marcia orangista.
Qui dei vecchietti sfilavano con le loro medaglie appena lucidate, seguiti da bande musicali, da giovani e, la cosa più triste, da bambini, bambini…
Ai bordi della strada gli spettatori, muniti di poltroncine e colazione a sacco, non perdevano neanche un attimo dello spettacolo. Ah, dimenticavo, tutto, dai marciapiedi ai vestiti della gente, richiamava il bianco blu e rosso, i colori della civile corona inglese. Cosa festeggiavano? Una battaglia vinta secoli addietro.
Dove manderesti tuo figlio?
A me è rimasto è rimasto un senso di tristezza e di dispiacere per quei giovani e quei bambini, ma come si potrà andare avanti se prima non sono loro a farlo?
Anche in Giordania abbiamo parlato di guerra e di pace e abbiamo visto immagini orribili, ma stavamo comodi e freschi nell’auditorium della scuola.
In Irlanda abbiamo visto con i nostri occhi cosa vuol dire non stare in pace.
Siamo entrati nel quartiere protestante e se non eravamo accompagnati da Twister, stavamo freschi di uscire interi!
Dove manderesti tuo figlio?
Twister aveva combattuto contro i cattolici, ma adesso è diventato pacifista, nonostante la suoneria del cellulare e il tatuaggio della corona inglese, ora ha voltato pagina, ora organizza partite di calcio tra protestanti e cattolici, però… quel muro, eh… il muro della pace è indispensabile! Perché non glielo spiegano anche ai Palestinesi che quel muro serve alla pace? Ah, che stupida, sono incivili!
Dove manderesti tuo figlio?
A Derry abbiamo incontrato John McCourt , reduce del civile carcere inglese,del quale portava i segni sul volto. I suoi occhi blu , sembravano quelli di un quindicenne, è come quando nei film dei giovani sono truccati e invecchiati, ma il trucco non riesce ad invecchiare anche gli occhi. Sembra che i suoi occhi siano rimasti a quella domenica, a quel Sunday, a quel Bloody Sunday. Il lunedì decise di entrare nell’IRA, dopo che i suoi occhi avevano visto molti suoi amici uccisi, uno dei quali, il suo migliore amico, il suo amico di infanzia, adolescenza e il suo compagno di studi, sparato di spalle da un civile soldato, mentre era caduto.
È sempre questo il motivo per il quale la pace non arriva mai, è lo stesso motivo per cui Twister decise di combattere i cattolici, ed è lo stesso motivo che spinge tanti giovani in Palestina a farsi esplodere: la vendetta.

La sera ad Amman raramente abbiamo incontrato i nostri professori, a Belfast non potevamo uscire senza essere accompagnati.
Dove manderesti tuo figlio?
Dalle cinque del pomeriggio si cominciavano a sentire elicotteri e sirene della polizia. Il giorno dopo trovavamo per strada pezzi di bottiglie e pietre, che i protestanti e i cattolici si erano lanciati la sera prima, nonostante i cancelli che separano i due quartieri sono chiusi dalle otto di sera.
Dove manderesti tuo figlio?
Una sera mentre tornavamo a piedi da un pub, una vecchietta è uscita in pigiama sulla strada urlando e con un martello in mano! Forse pensava che fossimo un gruppo dell’altro quartiere che voleva importunarla.
Camminando per Amman , entrando per i negozi molta gente si avvicina cercando di dire almeno una parola in Italiano, così, per farti sentire a casa; nelle periferie di Belfast era facile che i ragazzi per attirare la nostra attenzione ci urlavano parolacce, pensando forse di non essere capiti.
Ora non voglio fare di tutte le erbe un sol fascio, finirei per eccedere nell’altro senso. A Belfast ci sono persone che la pensano come noi, (e le abbiamo incontrate) che vogliono quel che vogliamo noi, che hanno firmato anche loro su quel muro, che sperano che quel muro cada presto, che quei murales così belli e colorati cambino presto argomento e che la mano di quel cattolico e di quel protestante si tocchi presto e, perché no, si stringa in un abbraccio!
Per me incivile è colui che non spera in tutto questo. Incivile è chi con la forza entra in casa mia, mi deruba della mia terra, dei miei alberi e della mia dignità, guardandomi dall’alto verso il basso. Questa è l’inciviltà.
E allora, DOVE MANDERESTI TUO FIGLIO?
Autore: RacheleT

venerdì 1 giugno 2007

CINEMA Blood Diamond


Blood Diamond: un altro lato dell`Africa, che mescola thriller e vicende storiche.
Titolo originale: Blood Diamone
Regia: Edward Zwick
Sceneggiatura: Charles Leavitt
Fotografia: Eduardo Serra
Musiche: James Newton Howard
Montaggio: Steven Rosenblum
Anno: 2006
Nazione: Stati Uniti d`America
Distribuzione: Warner Bros
Durata: 143`
Data uscita in Italia: 26 gennaio 2007
Genere: guerra


Dopo l’Ultimo Samurai, Edward Zwick ritorna con un Thriller avvincente basato sulle vicende storico-politiche del contrabbando di diamanti in Sierra Leone, paese devastato dalla guerra civile del 1999. Sullo sfondo del conflitto e dal caos da esso generato, con un migliaio di morti e più di un milione di profughi, si muovono Danny Archer (Leonardo Di Caprio), un ex mercenario dello Zimbawe diventato contrabbandiere e Solomon Vandy (Djimon Hounsou), un pescatore di etnia Mende.Solomon, costretto a lavorare in una miniera di diamanti a cielo aperto per i ribelli del RUF, trova e nasconde il rarissimo diamante rosa. Venuto a conoscenza di tale notizia, Archer gli offre in cambio del diamante, un aiuto nel ritrovare la sua famiglia dispersa dalla guerra civile. I due, entrambi africani, ma con esperienze del tutto diverse, nel loro cammino incontrano Maddy Browen (Jennifer Connel), un’affascinante giornalista americana che sconvolgerà la vita di Archer, chiedendo a quest’ultimo, cinico e pronto a tutto per ottenere i suoi soldi, di denunciare i suoi capi e smascherare le gravi responsabilità davanti all’intero mondo.Con questo film Zwick riesce a toccare tutte le gravi conseguenze, che la guerra porta con sé. Il film tocca il problema dei bambini soldato, sottratti con violenza dalla loro famiglia ed “educati” con altrettanta violenza dai ribelli del RUF; i problemi dei campi profughi, sovraffollati e con condizioni igieniche pessime e, infine, mostra anche quanta colpa ha l’Occidente in queste vicende, che risponde a tutto ciò con superficialità o, peggio, con indifferenza. Un film, che non lascia nulla all’immaginazione, che racconta storie vere, di famiglie vere come le nostre, può sensibilizzare di più rispetto ad immagini surreali, trasmesse velocemente dai telegiornali. Il cinema, invece di uno sterile libro di storia, può rappresentare lo strumento migliore per affrontare questi argomenti. In altre parole, un film è un modo migliore per ricordare e non dimenticare, ed è quello che fa Zwick con Blood Diamond.


Autore: RacheleT

L'ultimo Re di Scozia


CINEMA – Ritratto-thriller del dittatore ugandese Idi Amin. Forest Whitaker da Oscar.Tratto dal romanzo di Giles Foden, L’ultimo re di Scozia è un eccitante thriller diretto da Kevin Macdonald, ambientato in Uganda, negli anni ’70. Il giovane medico scozzese Nicholas Garrigan (James McAvoy), fresco di laurea, vola nel paese Africano in cerca di avventura, ma anche desideroso di poter aiutare chi ha bisogno. Appena arrivato, apprezza le bellezze locali e ben presto entra in contatto con il neo-presidente del Paese africano, il generale Idi Amin (Forest Whitaker). Garrigan facendo colpo su Amin, dittatore sanguinario ma carismatico, ne diventa il medico personale e inverosimilmente suo consigliere.Lo scozzese da testimone inizia a sentirsi quasi complice delle brutalità del regime di Amin, responsabile di circa 300.000 morti. Garrigan ha paura, arriva a tradire il suo dittatore e tenta di avvelenarlo. Il giovane medico è salvato da un collega ugandese, che gli evita torture del dittatore, affinché torni a casa e racconti quello che succede, «perché a lui, uomo bianco, lo ascolteranno». Queste le ultime parole del dottore africano, ucciso per aver aiutato un traditore.Il film ha una duplice valenza di documentario sulla figura di Amin e di thriller. Sicuramente la pellicola funziona meglio come thriller, trasportando lo spettatore in atmosfere oscure, che sempre avverte una sensazione di pericolo imminente. Kevin Macdonald, da buon documentarista, non si è distaccato molto dalle reali vicende del dittatore, rischiando, a volte, di essere molto cruento. Un particolare plauso va alla coppia di attori protagonisti: il ventottenne James McAvoy, veramente a suo agio nei panni del giovane medico scozzese, e lo straordinario Forest Whitaker, bravissimo ad esprimere la complessità e l’oscuro carisma di Amin, ottenendo l’oscar come migliore attore.


Titolo originale: The last king of Scotland
Regia: Kevin Macdonald
Sceneggiatura: Jeremy Brock, Peter Morgan, Kevin Macdonald
Fotografia: Anthony Dod Mantle
Musiche: Alex Heffes
Montaggio: Justine Wright
Nazione: Gran Bretagna
Distribuzione: Twentieth Century Fox
Durata: 121`
Data uscita in Italia: 16 febbraio 2007
Genere: azione.
Autore: Rachele T.

Fratelli Africani


ERCOLANO – Due giorni dedicati alla Conferenza internazionale "Africani in Campania, Campani in Africa" nella casina del mosaico a villa Favorita.Si è aperta ieri, venerdì, la conferenza su musica e balli africani. Tanti i presenti: dalle personalità di spicco della nostra regione alle associazioni, dalle scuole di ogni tipo al comitato Pan Africano.Ad aprire questa due giorni è stato il sindaco Nino Daniele, facendo gli onori di casa e ricordando la vocazione di pace della città: «Ercolano è un punto di incontro delle civiltà. Non dimentichiamo che qui ha avuto sede la villa dei Papiri, una delle più importanti biblioteche dell’antichità, che ha attirato studiosi da tutto il mondo. Ercolano deve continuare ad essere luogo di scambio ed incontro tra le diversità. L’Africa – continua il sindaco – è il passato e l’avvenire del genere umano e noi, come Europa dobbiamo essere in grado di fare della nostra unità un ancoraggio per gli altri fratelli.»L’obiettivo di questa conferenza, come afferma l’ing. Aladino Miguel Jose, presidente del comitato Pan Africano, è quello di affrontare «ciò che i media tendono ad eludere: diffondere la cultura della pace. Questa è una conquista.» Nella prima parte del dibattito sono intervenuti anche il console della Tunisia e l’ambasciatore del Burundi in Italia, prof. Leopold Ndayisaba. Dopo un brevissimo coffee-break, i lavori sono stati ripresi dalla prof.ssa Adriana Beffardi, delegata del Presidente della Giunta Regionale della Campania per la Pace e la Cooperazione, che ha saggiamente ricordato le parole di Mandela: « Solo quando la povertà diverrà una storia passata, tutti potremo camminare a testa alta. Abbiamo bisogno di essere affamati di fatti, non di parole.» Come ha giustamente osservato l’assessore Angresano: «Costruire la pace significa costruire un ponte, dove ognuno porta il suo mattone.» La mattinata è proseguita con l’intervento del giornalista Gino Barsella, che ha brevemente ricordato i problemi dell’Africa: il neo-colonialismo, il problema dei bambini soldato, la corruzione…Non poteva mancare l’intervento della d.ssa Isadora D’Aimmo, assessore alla Cooperazione e alla Pace dell’Amministrazione Provinciale di Napoli. A parlare è stato anche il preside dell’Istituto Superiore Adriano Tilgher, Ubaldo Grimaldi, che ha sottolineato l’importanza della scuola: prima si educano i ragazzi alla pace e dopo viene tutto ciò. L’educazione all’intercultura, questo è il modo migliore per scuotere le coscienze; così come è fondamentale comprendere la necessità dell’incontro, vedere la diversità come una ricchezza e conoscere l’altro nella sua cultura tanto diversa, ma uguale per umanità. Qualche minuto dopo c’è stato il tanto atteso assalto al buffet: tutto rigorosamente africano. La conferenza è continuata poi nel pomeriggio e continuerà per tutta la giornata di oggi, con altri interessanti interventi, all’insegna del Motto cinese scelto dalla Bottega del commercio equo e solidale "Non date il pesce ai poveri, ma canne per poterlo pescare".
Autore: RacheleT